A cavallo tra gli anni ’90 e i primi anni 2000, la stilografica made in Italy tentò un’arrembante zampata a livello mondiale, posizionando sul mercato diversi brand e modelli che riscossero un certo successo commerciale.
Come ben sappiamo, però, quella fragorosa zampata si rivelò essere un fuoco fatuo, sia nella durata che nella qualità, mostrando in breve tempo tutti i limiti e i difetti che oggi conosciamo bene — difetti su cui si è scritto e si continua a scrivere ancora oggi — e portando, negli anni successivi, al fallimento di un nutrito numero di aziende, più o meno strutturate.
Nel corso del tempo, alcune di queste aziende hanno tentato di risollevarsi, riproponendosi con nuove vesti e dichiarando di aver imparato dai propri errori, promettendo che, da quel momento in poi, tutto sarebbe stato diverso.
Ma è davvero così?
Hanno davvero imparato dai propri errori?
Proviamo a scoprirlo.
Nelle immagini seguenti potete vedere una Delta Bio16, un nuovo modello che dovrebbe rappresentare il nuovo corso della Delta e, in qualche modo, diventare il simbolo della rinascita. Un intento ambizioso, sottolineato anche dalla scelta di utilizzare la galalite come materiale per corpo e cappuccio.
Non si tratta di una novità assoluta: già negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, diverse aziende si cimentarono, con alterne fortune, nella produzione di penne stilografiche in galalite — come, ad esempio, la Novum in galalite rossa, oggi esposta presso il museo Officina della Scrittura.
Mettiamo per un attimo da parte la questione estetica e costruttiva legata alla galalite, e concentriamoci su ciò che davvero conta in una stilografica: il gruppo scrittura, ovvero condotta e pennino. Come ho ampiamente descritto nel mio libro Condotta e Pennino – Cuore e anima della stilografica, questa è a tutti gli effetti la parte viva dello strumento.
Il pennino
Sul pennino c’è poco da dire: si tratta di un comune pennino in acciaio, di produzione tedesca standard, senza infamia e senza lode. È privo di centina e completamente privo di reattività: in sostanza, un pennino "sordo", come purtroppo accade in gran parte della produzione Bock/Jowo.
La condotta
Se già il pennino non promette nulla di buono, la condotta è un vero e proprio disastro.
Come si può vedere nelle immagini sottostanti, è realizzata in plastica stampata. Nulla di sorprendente, fin qui. Ma oltre al danno, arriva anche la beffa: il taglio capillare è mal eseguito, sfibrato, irregolare, storto — e quindi del tutto incapace di trasportare correttamente l’inchiostro.
E non è finita.
Dalle fotografie si nota chiaramente che, oltre alla pessima realizzazione, la condotta è talmente fragile (non è chiaro se per la lavorazione o per la qualità del materiale impiegato) da non presentare alcuna traccia di quella rigidità minima che ci si aspetta da una condotta degna di questo nome. Anzi, è esattamente il contrario: è molle, tanto che si piega in ogni direzione semplicemente poggiandoci due dita.
Immaginate cosa succede quando è montata nella penna e si applica una minima pressione, anche solo con il peso della mano: la condotta si flette, si stacca dal pennino e provoca la classica interruzione di tratto.
Non solo: data l’assenza totale di rigidità, anche il minimo movimento deforma il capillare, che si strozza in uno o più punti, interrompendo di fatto il flusso di inchiostro. A tutto questo, si aggiungono altre problematiche che questa condotta si porta dietro.






