Anche se mi sembra che questo argomento interessi poche persone, mi fa piacere scriverne sperando di trasmettervi qualche sorpresa.
Parlare di Hi Fi, per giunta con qualità musicofile in questo periodo in cui la musica liquida la fa da padrone rendendo vecchie ed obsolete tutte le apparecchiature più grandi di un telefonino e facendo morire la catena distributiva dei supporti audio, è solo per caparbi inconsolabili che purtroppo, ma ben per loro, utilizzano le orecchie non come recipiente che raccoglie, ma che coglie il suono e le sensazioni che ottiene ascoltando la musica restituita da un impianto audio che correttamente ne riproduce la spazialità in altezza, larghezza e profondità, la tonalità e le armoniche con le particolari sensazioni che offre.
Come l’uso di una stilografica, l’ascolto di musica con elettroniche ben suonanti, è un qualcosa che ha bisogno di calma e tranquillità: non sono cose usufruibili in auto quando si guida.
Tutto ha inizio negli anni 60 acquistando un LP, per giunta mono, dei Rolling; costava una enormità, ricordo 1700 lire, quello stereo costava di più.
Per farmi stare zitto mia zia mi regalò un giradischi a pile della Philips, un piccolo indistruttibile trattore che funziona ancora.
I dischi si compravano usati, quelli smessi dai Juke Box.
Il sogno era di poter avere l’impianto stereo composto da giradischi Thorens, ampli Marantz e casse AR, ma era una fortuna per pochi, tutti gli altri si accontentavano della fonovaligia della Reader’s Digest comprata a rate, ma gli acquisti di dischi continuavano incessantemente.
Fine anni 70, i soldi correvano come l’inflazione, acquisto del primo impianto stereo serio, giradischi Pioneer semiautomatico, ampli Marantz 75+75 Wrms, enormi casse AR da pavimento, registratore a cassette Philips; delusione enorme, l’ampli suonava di schifo, niente realismo sonoro; era uno dei primi modelli prodotti dopo l’acquisto della Marantz dai giapponesi.
Prontamente sostituito con l’americano Harman Kardon: suono troppo duro e poco selettivo.
Tutti mi dicevano che la colpa era delle casse acustiche: troppo dure (sensibilità 92 db) per cosi poca? potenza. Volevo un Radford, ma non lo trovavo, dovevo andare a comprarmerlo a Londra e allora non era possibile rientrare in Italia con una elettronica sotto il braccio, c’era la dogana.
Dopo tante letture di riviste specializzate, Suono, Stereoplay e Audioreview, arrivo caparbiamente al NAD 3020 di soli 25+25 W, sconsigliatomi dal venditore che mi voleva vendere l’accoppiata pre+finale Mac Intosh, lasciatomi in prova per un fine settimana; belli, ma il suono non mi convinceva, robusto, lineare, ma poco selettivo e con qualche buco nella gamma medio bassa.
Col NAD si apre un mondo nuovo, quel piccolo giocattolo da pochi soldi faceva ballare le casse in maniera maestosa restituendomi un effetto acustico potente, pulito, dettagliato, spazialità del suono perfetta (chiudendo gli occhi si riusciva ad individuare la posizione dei diversi strumenti e se erano arretrati rispetto al fronte sonoro) bassi corposi, medi precisi, forse gli alti un pelino carenti.
I NAD, pensati in USA e realizzati in oriente, oltre ad una progettazione eseguita con elementi a stato solido di uso comune, avevano la particolarità di avere una alimentazione sovradimensionata: grande trasformatore e capaci condensatori in gradoi di erogare in continuo il voltaggio richiesto anche nei transienti più impegnativi; era questo il segreto.
Da allora non ho più lasciato la NAD comprando diverse elettroniche, solo la Rotel ed i Cambridge Audio ci si avvicinavano come rapporto qualità/prezzo.
Il finale STEG da ben 800 W rms che allora nuovo costava tanto, l’ho avuto come apparecchio dismesso da una discoteca perché non funzionante. Dopo averlo aggiustato sostituendo una coppia di transistors finali cotti, lo utilizzavo con un pre della NAD, ma ho smesso in quanto non aveva il ritardo all’accensione; se sbagliavo accendendo prima il pre rischiavo che i magneti degli altoparlanti venissero sparati sul muro di fronte alle casse; stesso problema dello storico impianto stereo Quad 33-303, acquistato ed usato per poco tempo. La teoria era quella che il percorso del suono doveva essere quanto più corto e lineare possibile, i correttori di tonalità ed il ritardo in accensione potevano interferire con la qualità del suono.
Da allora ho acquistato tanti apparecchi HiFi Marantz, Thorens, Aiwa, Teac, Technics, Dual etc., ma ho sempre privilegiato la musica (78-45-33-musicasette-CD), anche se oggi tanti CD sono incisi in sovramodulazione: fatti da tecnici poco capaci che forse conoscono la musica ascoltando solo mp3. Provate ad ascoltare The dark side of the moon dei Pink F, versione LP e la vecchia versione CD (non quella nuova che circola adesso cartonata incisa meglio), troverete una differenza abissale, il suono del CD sembra quasi impastato.
In casa utilizzo tre impianti stereo - compreso un CARVER olografico collegato al computer - di cui vi propongo alcune fotografie.
L’impianto di riferimento che utilizzo di più è composto da giradischi tangenziale Technics semiautomatico con testina Shure/Marantz, ampli Marantz Ken Ishiwata in classe A 25+25, equalizzatore grafico/parametrico 14+14 bande di controllo con memorie con ampio display, due coppie di casse ESB collegate in parallelo al fine di ottenere un carico stabile di 4 ohms, anche se l’ampli regge bene sino ad un carico di 2, sintonizzatore vintage Marantz 2020 del 1978, registratore di musicassette professionale della Teac.
Anni fa stavo per acquistare un pre+finale a valvole, se non ricordo male era una marca francese che si chiamava Classè, ma mia moglie mi ha diffidato: mai avrebbe voluto tale orrore con le lampade a vista in soggiorno.
E per oggi mi sono dilungato anche troppo.
Pezzo scritto ascoltando i 16 horsepowers (provate a sentire i live) anni 90 e gli Hot Tuna, splendido il nuovo del 2011.